Pasolini nella città di Kafka: il 28 maggio il convegno a cura della Dante Alighieri,

«Non c’era un solo istante della giornata … in cui non risuonasse nelle strade o nei lotti una “invenzione linguistica”

Nel mio intervento commento queste frasi

«È stata la televisione che ha, praticamente, (essa non è che un mezzo) concluso l’età della pietà, e iniziato l’era dell’edonè. Era in cui dei giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme della irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e dalla televisione, tendono inarrestabilmente ad essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino alla infelicità (che non è una colpa minore)» (Due modeste proposte per eliminare la criminalità in Italia, 18 ottobre 1975, poi in Lettere Luterane)

«La scuola d’obbligo è una scuola d’iniziazione alla qualità di vita piccolo borghese: vi si insegnano cose inutili, stupide, false moralistiche, anche nei casi migliori. Una nozione è dinamica solo se si include la propria espansione e approfondimento: imparare un po’ di storia ha senso solo se si proietta nel futuro la possibilità di una reale cultura storica. Altrimenti le nozioni marciscono» (Ivi).

Esperienza di maestro di Pasolin: La creatività, l’invenzione di ogni giorno, vedi Il diario di un maestro in Un paese di temporali e primule.

Il corsaro-luterano indica nella rigenerazione continua la qualità della vita proletaria :

«Non c’era un solo istante della giornata – nella cerchia delle borgate che costituivano una grandiosa metropoli plebea – in cui non risuonasse nelle strade o nei lotti una “invenzione linguistica”».

Come prevede la filosofia dei versi iniziale del Pianto della scavatrice, un inno, come nei primi racconti romani raccolti poi in Alì dagli occhi azzurri, alla capacità di vivere l’istante da parte di questa cultura particolare, si può amare e conoscere solo il presente, dà angoscia il vivere di momenti del passato, così la tragedia, innanzitutto personale, consiste nel non trovare più un solo giovane che, nel suo corpo, sia lontanamente simili agli attori di strada di Accattone, nessuno sarebbe più capace di dire quelle battute, con quella voce.

Una passione tanto sfrenata, nel poeta dell’eccesso e dello scandalo, a cui corrisponde una rabbiosa desolazione, altrettanto urlata: i giovani, svuotati dai loro modelli e dai loro valori, sono diventati «larvali calchi di un modo di essere e di concepire l’essere: quello piccolo borghese».

Il genocidio, parola apocalittica, ha cancellato per sempre dalla faccia della terra questi personaggi enormemente simpatici, sintagma di una semplicità per certi versi sconcertante, per altri unica, realistica, umana. Si confronti, a titolo di esempio, nella ben conosciuta litania, la fotografia dilaniante dei giovani, «quasi tutti mostri», il cui pensiero sfugge, perpetuamente altrove, nell’esordio, brusco, come lo svegliarsi improvviso in una nuova epoca, delle Lettere luterane, appunto Giovani infelici :

«Essi non hanno nessuna luce negli occhi: i lineamenti sono lineamenti contraffatti di automi, senza che niente di personale li caratterizzi da dentro».

Le citazioni, è noto, potrebbero moltiplicarsi, segnalo ancora, in Gennariello, trattatello specificatamente pedagogico, I ragazzi sono conformisti due volte, e nelle Lettere luterane vere e proprie, sulla criminalità Pannella e il dissenso e Fuori dal palazzo e, inoltre, Soggetto per un film su una guardia di PS, per il privilegio dato alla dimensione antropologica e fisiognomica dell’ambiente giovanile.
Qui, nel cuore della vicenda pasoliniana, in definitiva «così semplice», si innesta il correlativo oggettivo dell’episodio del Circeo.
Cosciente che non può generalizzare, specialmente sulla fedina penale dei giovani sottoproletari, scrive tuttavia :

Sono anche bravi ragazzi. Ma non sono più simpatici. Sono tristi, nevrotici, incerti, pieni di un’ansia piccolo borghese; si vergognano di essere operai; cercano di imitare «i figli di papà», i «farlocchi». Sì, oggi assistiamo alla rivincita dei «figli di papà». Sono essi che oggi realizzano il modello-guida.
Il lettore confronti personaggi come i pariolini neofascisti che hanno compiuto l’orrendo massacro in una villa del Circeo, e personaggi con i borgatari di Tor Pignattara che hanno ucciso un automobilista spaccandogli la testa sul’asfalto: a due livelli sociali diversi, tali personaggi sono identici: ma «i modelli» sono i primi, quei figli di papà, che così a lungo – per secoli – sono stati sfottuti e disprezzati dai ragazzi di borgata, che li consideravano nulli e pietosi. Mentre erano fieri di ciò che essi stessi erano: della loro «cultura», che dava loro gesti, mimica, parole, comportamento, sapere, termini di giudizio.

Tra amarezza e rabbia deve ammettere che modelli sono i i figli di papà, privilegiati dai giornali anche nei fatti criminali :

I giornali gettano oggi la croce addosso ai pariolini (privilegiandoli, peraltro, del loro interesse). Ma se non hanno vinto i neofascisti dei Parioli, sono comunque i pariolini che hanno vinto. Nel tempo stesso, i giornali prendono atto (con qualche anno di ritardo) che la «malavita romana si è fatta cattiva». Ma i giovani sono complici degli uomini politici, e gli uomini politici sono completamente fuori dalla realtà.

La mia generazione (primi anni sessanta) e quella nata negli anni Cinquanta (a noi parlava Pasolini, genitori dei venti-trentenni di oggi, indicando un vuoto etico, la colpa della tristezza, l’eloquio ridicolo) ricorda bene l’incipit icastico, lapidario, di una presa di posizione fuori dal coro tra le più memorabili del corsaro Pasolini: la stampa di sinistra e borghese privilegia i pariolini del suo interesse :

Infatti i criminali non sono i neo-facisti. Ultimamente un episodio (il massacro di una ragazza al Circeo) ha improvvisamente alleggerito tutte le coscienze e fatto tirare un grande respiro di sollievo: perché i colpevoli del massacro erano appunto dei pariolini fascisti. […] In realtà la stampa borghese è stata letteralmente felice di poter colpevolizzare i delinquenti dei Parioli, perché colpevolizzandoli tanto drammaticamente li privilegiava (solo i drammi borghesi hanno vero valore e interesse) e nel tempo stesso crogiolarsi nella vecchia idea che dei delitti proletari e sottoproletari è inutile occuparsi più che tanto, dato che aprioristicamente assodato che proletari e sottoproletari sono delinquenti.

I giovani proletari e sottoproletari hanno acquisito a modelli proprio «quei piccoli borghesi idioti e feroci».

Pasolini non smette di emettere luce, come le sue lucciole, in un dibattito serrato, con la mediazione soprattutto di Georges Didi-Huberman , ispirato alla celebre immagine delle lucciole, con altri pensatori morali del Novecento, quali Benjamin, Warburg, Agamben, Deleuze, Debord.
Le lucciole, come nell’esperienza personale del filosofo francese, proprio nella Roma di Pasolini, davanti a Villa Medici, non sono del tutto scomparse, oppure, se si vuole, sono tornate.
Dobbiamo farci uomini lucciola, recare, nei rapporti privati e sociali, il bagliore erratico del desiderio e della poesia incarnati, ovvero di una umanità significativa fuori dalla omologazione.
Dal mio punto di vista questi bagliori appartengono al mondo del volontariato. Dove uomini e donne, agiati e meno agiati socialmente, ognuno con il proprio talento (e il proprio cuore), sono la stessa realtà capace di donare gratuitamente, in antagonismo con la mercificazione.
L’energia della persona, insegna Pasolini, si rigenera nella dinamica di incontri reali. Con l’invenzione linguistica. Con la creatività dentro l’impegno del lavoro.
Nel contagio sociale, evidente, degli uomini lucciola, il cui splendore, spesso è improbabile e minuscolo, ma sempre autentico, non metaforizza altro che l’umanità per eccellenza, in cui il sorriso scoppia nella faccia come luce silenziosa. È un augurio, come suggerisce Patrizio Barbaro, leggendo suggestivamente il finale di Edipo Re, intravvedendo il contenuto degli incontri, in cui vibra l’interrogazione abissale e talvolta la luce di speranza, felicità e attività gratuita per l’altro (l’agapè opposta all’anarchia del potere) rappresentata nella metafora delle lucciole : «”La vita finisce dove comincia”, ha scritto Pasolini. È una speranza. La vita comincia quando vi irrompe una novità bella e felice, una cosa imprevedibile e inaspettata. Allora la vita comincia nuova e tutto quello che c’èra prima diventa subito irrimediabilmente vecchio, passato, nostalgia. Finisce. Ecco perché la vita finisce dove comincia. È un augurio. Che la vita cominci. Che accada un inizio».

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