Giuseppe Conte a Roma, il 27 Biblioteca Nazionale, Castro Pretorio, Roma, il 28 Università di Tor Vergata, Lettere, via Columbia 1 aula t12 b ore 9,00

Poesia

Di consuntivi è ricca la lunga carriera poetica di Giuseppe Conte. Sempre al bivio, sull’orlo di un ricominciamento. In partenza e in dialogo. Come l’acqua, del fiume o, più impetuosamente, del
mare che: «assomiglia all’anima / dell’uomo. È irrequieta, non ha / posa».

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Scorrere dunque, incontrare: passando dal corso lungo di fiume, per paesaggi mai prima
sperimentati, alla sosta breve del lago, alle improvvise ripide, per assomigliare, più e meglio, alla
vastità del mare che queste umane occasioni contiene. Così potrebbe leggersi, con una occhiata
dall’alto, l’itinerario poetico di Conte, piuttosto che pensando alla semplice cronologia delle
raccolte, con dei punti di sosta visibili (non è detto che avvengano a “casa”, semmai nelle tante
“case”) che non paralizzano, bensì formano dei prismi di idee e nuove realtà da seguire.
La riflessione sul destino dell’uomo, sulla natura, di per sé lento, ritmato, interiore, non rallenta
la curiosità di rimettersi in gioco, questa positiva inquietudine dell’acqua che scorre, pulisce,
disseta, si intride di sangue, sperma e dolore, ritrova la sorgente, si getta nel grande mare cosmico
dell’esistente. «Come una cometa / di ghiacci sulla sua orbita / va l’anima, ritorna / al regno delle
acque».
La ricca antologia che contiene la maggior parte dell’opera poetica di Giuseppe Conte,
Poesie
1983-2015
(Oscar Mondadori, 2015) con la splendida introduzione di Giorgio Ficara, se ècertamente un approdo lo è in quanto da lì si continua l’esplorazione. Verso nuove stagioni, con
l’idea ricorrente dell’alternanza, come nelle diverse posizioni geografiche delle acque, dove però prevale lo spirito primaverile dello stupore e della possibile rinascita, con il mese prediletto, l’aprile bianco del fiore del mandorlo
Proprio da Le stagioni
, significativo titolo della raccolta del 1988, da dove abbiamo tratto le citazioni, ci si può imbarcare verso il rinnovamento, oltre le colonne d’Ercole della banalità,
dell’effimero, della chiusura egotistica e individualistica che non permette all’uomo (e con lui a
tanta poesia) di alzare lo sguardo alle cime e alle fioriture degli alberi anche nel grigio delle città.
Chi sa ancora, si domanda il poeta a più riprese, cosa è un cespuglio, un fiore, un albero? Tanta
l’abitudine alla sciatteria e alla piccola violenza quotidiana da rendere urgente questa domanda,
tentando, non banalmente, di indicare una risposta.
Bisogna cercare gli dei nascosti in luoghi sublimi, che falangi di scriteriato progresso hanno
indotto a celarsi ma non a scomparire. Lungo il corso di più di trenta anni di poesia, Giuseppe
Conte, nelle molte variabili metriche, di ambientazione, di maturazione di pensiero, resta fedele a
queste premesse, nella fondazione, non solo teorica, del mitomodernismo, il cui nucleo generativo
ha attratto poeti anche molto diversi.

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