Reportage di luoghi letteraria (vedi post precedenti)

E ancora in viaggio, con Flaubert, in Normandia

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Gustav Flaubert, scrittore non molto prolifico, che annovera però quasi tutti capolavori nella sua arte, come i celebri Tre racconti, Un cuore semplice, La leggenda di san Giuliano Ospitaliere (bellissima storia di grandi passioni e di una umile conversione alle esigenze dell’altro uomo, il più lontano e bisognoso), il rifacimento che ha ispirato pittori e letterati della storia di Erodiade e Salomè, Erodiade.
Ecco dei paesaggi da Un cuore semplice:

Dal II capitolo:
Nel pomeriggio, andavano con l’asino oltre le Roches Noires, dalla parte di Hennequeville. Il sentiero, dapprima, saliva in mezzo a terreni ondulati come il prato di un parco, poi arrivava su uno spiazzo dove si alternavano pascoli e campi arati. Sul ciglio della strada, nel groviglio dei rovi, crescevano agrifogli; qua e là, un grande albero morto disegnava zig zag nell’aria azzurra con i suoi rami. Quasi sempre si riposavano in un prato, con Deativille alla,sinistra, Le Havre a destra, e il mare aperto davanti. Il mare era scintillante di sole, liscio come uno specchio, così calmo che se ne sentiva appena il mormorio; i passerotti nascosti pigolavano e la volta immensa del cielo ricopriva ogni cosa. La signora Aubain, seduta, attendeva al suo lavoro di cucito; Virginia accanto a lei intrecciava giunchi; Felicita coglieva fiori di spigo; Paolo, che si annoiava, voleva andar via. Altre volte, oltrepassata la Toucques in barca, cercavano le conchiglie. La bassa marea lasciava allo scoperto ricci, asterie, meduse; e i bambini correvano per afferrare i fiocchi di schiuma che il vento portava via. Le onde addormentate, cadendo sulla sabbia, si srotolavano lungo la spiaggia; essa si stendeva a perdita d’occhio, ma dalla parte della terra aveva corne limite le dune che la separavano dal Marais, un largo prato a forma di ippodromo. Quando tornavano per di la, Trouville, in fondo sulle pendici della collina, ingrandiva ad ogni passo, e con tutte le sue case disuguali sembrava sbocciare in un allegro disordine. I giorni in cui faceva troppo caldo, non uscivano di camera. L’abbagliante chiarore di fuori stampava strisce di luce tra le stecche delle persiane. Neanche un rumore in paese. Giù, sul marciapiede, nessuno. Quel silenzio diffuso accresceva la tranquillità delle cose. In lontananza, i martelli dei calafati otturavano le carene, e una brezza pesante recava l’odore del catrame. Lo svago principale era il ritorno delle barche. Appena avevano oltrepassato i gavitelli, cominciavano a costeggiare. Le vele scendevano ai due terzi degli alberi; e, con la vela di trinchetto gonfiacome un pallone, avanzavano, scivolavano nello sciabordio delle onde, fino in mezzo al porto, dove di colpo gettavano l’ancora. Poi la barca ormeggiava lungo la banchina. I barcaioli gettavano di là dalla murata i pesci palpitanti; una fila di carretti li attendeva, e alcune donne con la cuffia di cotone si slanciavano a prendere le ceste e ad abbracciare i loro uomini.

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