Le foto di Cartier-Bresson e le parole di Jean Clair

Uno sconosciuto che si conosce da sempre

In questi giorni a Roma c’è la mostra di un grande fotografo, Henri Cartier-Bresson. Ogni foto è accompagnata da ciò che essa ha suscitato in diverse personalità (scrittori, artisti, architetti, intellettuali; per fare due nomi, Sciascia e Gombrich). La mostra vale la pena davvero, tanto che più che un commento mi vien voglia di mostravene un pezzo. Perché le cose belle non vien tanto da commentarle, quanto da guardarle e riguardarle

“Non conoscevo questa foto di Henri e non sono mai stato in India. Non conoscendo l’opera e il suo modello, com’è possibile che a prima vista, in un batter d’occhio simile all’istante che suscita questa immagine, riconosco in essa ciò che non posso chiamare altro che bellezza? Cosa è mai questo “riconoscimento” se non, nel suo doppio senso, ricordarsi di colpo di uno sconosciuto che si conosce da sempre, e la gratitudine di colui che prova questo sentimento verso l’autore che ve lo fa provare?

Perché, certamente, se questa foto mi tocca è perché immediatamente svela ai miei occhi tutto un tesoro di ricordi che, associati liberamente nello spirito così come rigorosamente disposti su una pellicola sensibile, appartengono alla mia vita, alla mia esperienza, alle mie conoscenze, a ciò che ho letto, a ciò che ho provato.

Questo altopiano, queste montagne, questi grigi, questi tagli, io li ho visti la settimana scorsa tra il Lago di Garda e Trento, in quel luogo strano e desolato a cui Dante si ispira per immaginare il deserto di pietre del suo Inferno. E queste donne di spalle, nei loro lunghi abiti dalle larghe pieghe verticali, la testa coperta da un velo, le ho viste la settimana ancora prima. È stato a Padova, all’Arena. Sono le donne dell’Incontro della Porta d’Oro di Giotto. Loro hanno la stessa attitudine, la stessa volumetria, la stessa nobiltà. Il loro piede, al suolo, ha la stessa postura.

Giotto, se rinascesse, le riconoscerebbe subito. Quella che, in piedi, alza le mani verso il cielo sembra far aumentare le nuvole. Il suo gesto di preghiera è uno dei più belli ed antichi che ci sia. Sembra soppesare la leggerezza delle nubi, che non pesano più di un velo fotografico. Lei glorifica la leggerezza del mondo che è un tessuto fatto d’apparenza, sempre cangiante e sempre rinnovato. E per testimoniare la sua umiltà davanti alla leggerezza delle cose, si copre la testa e il corpo con una veste dalle pieghe pesanti.

L’occhio del fotografo ha distinto, nella flagranza del momento e nella lontananza della geografia, una assemblea che ci parlava, qui, da sempre.

Scusatemi se parlo di bellezza in un secolo dedicato al brutto. La foto che offrite alla mia vista è bella perché possiede il potere di far nascere in un istante, a partire da elementi “estranei”, tutto un tesoro di ricordi che non è altro che l’enigma rinnovato di ciò che in Occidente chiamiamo cultura.”

Jean Clair


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