profeti e re

Pasolini a casa Testori

“Comincia a crescere dentro di noi un bisogno d’infinito e disperante di trovare un appoggio, un riscontro; di trovare un qualcuno, un qualcosa che ci illuda, forse solo per un momento, di poter distruggere e annientare quella solitudine; di poter ricomporre quell’unita lacerata e perduta”.

Ancora Testori nel bellissimo articolo per la morte di Pasolini, 11 novembre del 1975, sull’”Espresso”, vedi post precedente. Parole se si vuole durissime, violente, estremamente reali, anche su un piano quotidiano, vissuto senza “la disperata vitalità” di Pasolini, nel disagio e nella ricerca di chi ha cuore. Sentiamo ancora qualche frase:

Sull’atroce morte di Pasolini si è scritto tutto; ma sulle ragioni per cui egli non ha potuto non andarle incontro, penso quasi nulla. Cosa lo spingeva, la sera o la notte, a volere, a cercare, quegli incontri? La risposta è complessa, ma può agglomerarsi credo, in un solo nodo, in un solo nome: la coscienza e l’angoscia di essere diviso, dell’essere soltanto una parte di una unità che, dal momento del concepimento non è più esistito; insomma la coscienza e l’angoscia dell’essere nati e della solitudine che fatalmente ne deriva. La solitudine, questa cagna orrenda e famelica che ci portiamo addosso da quando diventiamo cellula individua e vivente che pare privilegiare coloro che, con una aggettivo turpe e razzista, s’ha abitudine di chiamare diversi …..

E si resta lì, soli, prigionieri senza scampo, dentro la notte che è negra come il grembo da cui veniamo e verso il nulla verso cui andiamo; comincia a crescere dentro di noi un bisogno d’infinito e disperante di trovare un appoggio, un riscontro; di trovare un qualcuno, un qualcosa che ci illuda, forse solo per un momento, di poter distruggere e annientare quella solitudine; di poter ricomporre quell’unita lacerata e perduta …

Mettere di fronte a queste disperate possibilità e a queste disperate speranze il pericolo, fosse pure quello della morte non ha senso. Io penso che non s’abbia neppure il tempo per fare questi miseri calcoli; tanto violento il bisogno di riempire quel vuoto e di saldare o almeno fasciare quella ferita…

Si parte; e non si sa dove s’arriva. Per sere e sere, una volta avvenuto l’incontro, l’illusione ripresi pita in se stessa. Ma nella liberazione fisica s’è ottenuta una sorta di momentanea requie; o pausa; o riposo. La sera dopo tutto riprende; giusto compre riprende il buio della notte.

La vicinanza della morte chiama ancora più vita: e questo più o troppo di vita che cerchiamo fuori di noi, in quegli incontri, in quegli occhi, in quelle labbra, non fa altro che avvicinare ulteriormente la fine. Così chi ha voluto veramente e totalmente la vita può trovarsi più presto degli altri dentro le mani stesse della morte che ne farà strazio e ludibrio. A meno che il dolore non insegni la ‘via crucis’ della pazienza. Ma è una cosa che il nostro tempo concede?”. E a prezzo di quali sacrifici, di quali attese, di quali terribili e sanguinanti trasformazioni o assunzioni di quegli occhi e di quelle labbra?

One Comment

  • Grazie per il vostro articolo, mi sembra molto utile, proverò senz’altro a sperimentare quanto avete indicato… c’è solo una cosa di cui vorrei parlare più approfonditamente, ho scritto una mail al vostro indirizzo al riguardo.

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