L’amico Andrea Cortellessa sul romanzone che ha vinto il Premio Strega

La scuola cattolica cova il delitto del Circeo
Un monumentale viaggio (1300 pagine) nella palude degli Anni 70 tra l’omicidio di Rosaria Lopez e i fallimenti del mondo borghese

cir

Edoardo Albinati «La scuola cattolica» Rizzoli pp. 1294, € 22

19/03/2016
ANDREA CORTELLESSA

È un doppio legame collettivo quello che induce a tentare, ogni volta, Il Libro Degli Anni Settanta: questo tempo che proprio non si riesce a passare alla storia . Anche il libro- monstre di Edoardo Albinati si confronta con questo nodo, ma anziché pretendere di tagliarlo si sforza di dipanarlo in tutte le sue laocoontiche volute: a rischio di restarne, lui per primo, soffocato. Della matassa la sorte gli ha messo in mano un bandolo, e non tra i minori. A lungo il delitto del Circeo è stato infatti un paradigma dell’intreccio fra violenza individuale e collettiva (sulle sue interpretazioni c’è un’intera monografia di Fabio Pierangeli: « È finita l’età della pietà », Sinestesie 2015); e si consumò a un solo grado di separazione da lui, Albinati, allievo della scuola che intitola il libro, il San Leone Magno nel borghesissimo quartiere Trieste: la stessa degli estremisti di destra Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira, come lui di ottima famiglia, che una notte di settembre del ’75 rimorchiarono due ragazze invece di umile estrazione – Rosaria Lopez e Donatella Colasanti – e ne fecero scempio (la seconda, fortunosamente, sopravvisse).

Non si pensi però alla Scuola cattolica come a un libro-inchiesta, che risponda magari alla riapertura delle indagini (lo scorso gennaio) sulla sorte dell’irreperibile Ghira. Quasi provocatoriamente, anzi, Albinati capovolge la vulgata stucchevole del noir-che-fa-finalmente-chiarezza-sui-misteri-d’Italia. La «storia centrale» è talmente correlata con Tutto Il Resto da perdersi, da subito, come una cifra nel tappeto. Del Fattaccio non manca di dare spiegazioni, Albinati: il clima di violenza (il leit-motiv dei film di Peckinpah); la fallita pedagogia dei preti cogli adolescenti rinchiusi in una scuola tutta maschile; la «rappresaglia» simbolica dei maschi sull’universo femminile; l’inversione del decoro borghese (quello per cui quegli spostati – gli altri ex compagni si riveleranno maniaci suicidi, nazimaoisti piromani, anarchici scoppiati col loro ordigno sul tetto del manicomio – tutte le sere «tornano a cena dai genitori»). Più vicino a Calvino che a Pasolini, dunque.

Ma più s’inoltra nella palude, il narratore, più vi affonda con tutto se stesso. Finendo per specchiarvi le proprie ambivalenze nei rapporti col femminile, coll’estrazione borghese, colla sua storia religiosa e ideologica, con lo stesso vampirismo letterario: l’accostamento al Truman Capote di A sangue freddo regge, nel bene come nel male (quel «disturbo del comportamento» che è l’hoarding, di cui Albinati ha parlato nel notevole Oro colato, Fandango 2014: «ovvero il fare man bassa, accaparrarsi, saccheggiare»), mentre un altro possibile modello, Massa e potere di Elias Canetti (la volontà di trascendere gli eventi in un saggio filosofico sul proprio tempo, le cui digressioni costituirebbero invece «un diretto e immediato proseguimento del discorso»), resta lontano per l’incapacità di rinunciare a tornare sugli stessi scogli ossessivi, persino sulle stesse «filastrocche sciocche e oscene, cavolate e calembour scolastici» (le dodici pagine di chat cogli ex compagni di classe, per esempio, ce le saremmo risparmiate volentieri).

Il fatto è che questo di Albinati non è un romanzo né un saggio, ma neppure un misto dei due (come quello che resta il suo capolavoro, Maggio selvaggio ). È invece il tentativo più coraggioso possibile (dopo il recupero della memoria con Vita e morte dell’ingegnere , quattro anni fa) di fare una buona volta i conti, non tanto cogli Anni Settanta e i loro mostri, ma col mostro che incontra tutte le mattine allo specchio. La condizione carceraria che scopre accomunarlo ai reduci di quelle guerre lontane (dopo tredici anni di reclusione al San Leone Magno, da più di vent’anni insegna a Rebibbia) si rivela così l’oscura sanzione di una colpa ancora più oscura. Davvero «questo libro non è in grado di rispondere a molte domande»; ma in compenso forse ha fatto del suo autore, finalmente, un uomo libero.

No Comments

Leave a Reply

Your email is never shared.Required fields are marked *