Paolo Biondi e il racconto di Chartes

Il velo della Madonna e il racconto di Chartres

Paolo Biondi

Avevamo finito la visita di Notre Dame di Chartres. Ma prima di affrontare il vento freddo che sferza la collina sulla quale è la cattedrale nella Bouce, passammo per un ultimo saluto alla reliquia del velo della Madonna. Quel pezzo di tessuto è conservato nella cappella centrale lungo il deambulatorio dell’ampio abside e ci raccogliemmo in silenzio davanti alla cancellata che racchiude la cappella.

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Ed ecco arrivare inatteso un sacerdote con i paramenti e un pesante mazzo di chiavi in mano ad aprirci il cancello per farci avvicinare al velo. Così vicini a quella teca di vetro che racchiude il reliquiario era come se quel velo potesse ripararci anche a noi, dal vento sferzante e dal chiasso dei nostri pensieri.

«Ecco il luogo del mondo dove tutto si fa facile,/ il rimpianto, la partenza, l’evento,/ l’addio temporaneo, l’abbandono;/ ecco il solo angolo della terra dove tutto è docile,/ anche il mio vecchio cuore che faceva il ribelle», come scrive Charles Peguy nella Preghiera di Residenza (traduzione di Luca Doninelli) dedicata a Chartres.

La semplicità di Chartres è impressa nella sua stessa storia, in ogni segno del quale ancora oggi qui si trova traccia. È la sacralità che già si trova in fondo al pozzo, profondo 34 metri, che si può vedere nella cripta della cattedrale, vicino alla colonna che ancora poggia sul pavimento più antico della chiesa, probabilmente del VII secolo, nella parte della cripta dedicata al vescovo di Chartres del VI secolo Saint-Lubin, al quale si deve la definizione dei confini della diocesi.

Ma il pozzo rimanda a molti secoli più indietro, quando il luogo era sacro ai druidi, ancora prima del periodo gallo-romano che ereditò la sacralità del pozzo e della collina che si leva sulle dolci pianure della Bouce. Il pozzo è ora conosciuto come quello dei Santi-Forti a memoria della tradizione che vuole che qui fossero gettati per volere del magistrato romano Quirino i primi cristiani della zona, probabilmente del III-IV secolo.

Fra questi primi martiri la giovane Modesta, la cui storia è ricordata nelle sculture del portale Nord, dove, oltre alla statua di Modesta, è riportata anche la scena del martirio nel pozzo. Perché la cattedrale di Chartres non cela nulla, ma tutto racconta e rende manifesto con le sue sculture del XII e XIII secolo e con le sue magnifiche e famose vetrate istoriate.

Vetrate così famose che il blu dei suoi vetri è universalmente conosciuto e chiamato nel mondo come blu di Chartres. Quello qui rappresentato sui marmi e sui vetri è lungo racconto da apprendere sguardo dopo sguardo, preghiera dopo preghiera: «Ecco il luogo del mondo dove tutto è riconosciuto,/ […] il solo angolo della terra dove tutto viene raccolto./ Ecco il luogo del mondo in cui tutto è ritornato/ dopo tanto partire, dopo tanto arrivare», aggiunge Peguy.

È una chiesa dove si vorrebbe abitare, come fecero gli artigiani che la edificarono e che, mentre costruivano e scolpivano la pietra, vivevano al suo interno e dormivano sulla pietra del suo pavimento dove hanno dormito anche per secoli i malati pellegrini che sono venuti qui a chiedere la grazia della guarigione e il Paradiso.

Un abitare all’interno della chiesa che è reso manifesto ancora dalle pendenze del pavimento, fatte apposta per fare scolare ogni mattina le acque gettate per pulire i residui del bivacco notturno: «Ne abbiamo sentite tante, o Regina degli apostoli,/ e ci disgusta chiedere e chiedere un alloggio./ Nessun ostello avremo che non sia il Vostro,/ ed altro non sapremo che una preghiera semplice», racconta il poeta che qui veniva in pellegrinaggio come ricorda una targa nel transetto di sinistra, all’inizio del deambulatorio e della prima cappella, quella con la statua della Vergine del Pilar, la statua che per secoli ha ascoltato – e ancora ascolta – le preghiere e le richieste dei pellegrini.

Per questo quel pezzo di stoffa del velo di una giovane donna, quasi una bambina, del Medio Oriente è un riparo per l’oggi. Ed essergli stato così vicini, grazie al cancello inaspettatamente aperto da quel sacerdote, è una certezza di sicuro rimanere nel presente: «Ciò che dovunque altrove è solo una caparra/ è qui la soglia in pari col gradino».

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