Dirò semplicemente due punti che mi sembra riassumano l’esperienza che questo libro descrive e racconta.
Il primo è che questo libro descrive e racconta che cosa è il cristianesimo nella sua verità, nonostante l’odio del mondo per distruggerne – se fosse possibile – l’intima natura. Il cristiane-simo è semplicemente un avvenimento di vita e quindi una storia. Questo libro racconta questo avvenimento di vita, l’incontro con questo avvenimento di vita, e la storia, quindi, che questo avvenimento crea. Siccome il fatto narrato nel racconto “Occhi, occhiali e Paradiso” è uno dei fatti più. determinanti la mia vita, vorrei rileggerlo. Quando nel maggio-giugno ’78 mi sono accorto anch’io che qualcosa di nuovo stava accadendo nella facoltà di Lettere e Filosofia all’università La Sapienza. “L’occasione fu un seminario nella facoltà di Lettere e Filosofìa. Poi fu tutt’altro. Non vedo Roberto curvo sui libri a studiare qualche filosofo sconosciuto. Fu tutt’altro da quell’inizio”.
E’ molto bello che questo inizio, per molti di noi, fosse un inizio già dentro una storia, perché l’incontro che aveva coinvolto Luigi, Daniele, Marco dentro quella storia era accaduto qualche anno prima, qualche mese prima. Ma questa è la caratteristica della storia di questo avvenimento, che “va da inizi in inizi con inizi che non hanno mai fine”. Comunque quel seminario del maggio ’78 fu un miracolo. Il miracolo è quando l’inizio assume una evidenza umana e un’attrattiva umana così imponente che l’uomo che per grazia se ne accorge rimane segnato per sempre.
“Fu tutt’altro da quell’inizio, i banchi, le aule, i ragazzi improvvisati professori: sprizzò tutta una fila di fuochi artificiali di cui non si può immaginare la direzione, la lunghezza, l’intensità.
“Roberto, intuisco dalle sue parole, mi dice che quell’amicizia fu un’altra cosa da quella della scuola. Difatti continua e del tempo del liceo invece non è rimasto nulla”.
Questo è proprio il segno umano della verità, che la verità continua, il segno umano, come diciamo sempre fra di noi, che Gesù Cristo è risorto, che ha vinto la corruzione della morte, che ha vinto il fatto che il tempo distrugge tutto, che ha vinto quindi la paura della morte. Paradossalmente, più si fanno degli incontri nella vita e più la paura della morte cresce se ciò che si incontra non contiene la vittoria sulla morte. Più nella vita capitano incontri significativi più la paura della morte cresce. Tanto è vero che l’incontro più significativo è l’incontro con il padre e la madre, quindi l’infanzia, ed è lo spunto di nostalgia più grande.
“Il mondo dell’infanzia, un manoscritto perduto. Tutto durava l’intreccio di una fantasia. Quello che aveva incontrato da grande, invece si voleva misurare con il tempo e mantenere la felicità sorpresa dietro ogni simbolo. Doveva sovrastare anche la morte. Finalmente non di un sogno si trattava ma di una realtà viva e incontrata. Una certezza che il tempo della convivenza confermava, allungava nei minuti, comprava e dilatava – più dell’immaginazione perduta – il sapore andato dell’infanzia”.
Anche questa è una delle caratteristiche più stupefacenti dell’esperienza cristiana: che la storia che l’avvenimento crea è più dell’immaginazione. Io non avrei mai potuto nemmeno sognare i fatti che ho visto di questa storia: sono incompara-bilmente più grandi di quello che uno poteva immaginare. Anche se uno leggesse il Vangelo non potrebbe veramente immaginare: quello che accade oggi è più grande di allora. “Farete cose più grandi di me”. Per iniziare e creare oggi una storia vera è come (è Péguy che lo dice) se ci volesse qualcosa di più grande che non duemila anni fa per le strade della Palestina. Perché la paura della morte e quindi il sospetto è come più grande oggi.
E così ho detto anche la seconda cosa che volevo dire ed è il valore del tempo.
Un incontro è vero perché il tempo lo rende più grande e questa è la differenza tra il cristianesimo e tutto il resto. La differenza umana. Perché l’incontro con l’avvenimento cristiano, da un certo punto di vista, è identico agli incontri più soliti e più banali della vita. L’incontro per cui siamo cristiani non ha umanamente nessuna diversità dall’incontro con la ragazza o dall’incontro con gli amici. Umanamente tutto inizia così. Tutti noi siamo qui perché è accaduto un incontro banale con delle persone. E all’inizio nessuno poteva immaginare quale realtà di vita e di vittoria questo incontro conteneva. E lo stupore all’inizio, come dire, è stato simile allo stupore di tanti altri incontri umani.
Invece la diversità ultima è che tutti gli altri incontri umani accrescono – col tempo – la paura della morte. Più sono veri e più accrescono la paura della morte. Più sono veri e più allontanano il presentimento proprio dell’infanzia di poter essere amati veramente. E invece questo incontro, identico agli altri incontri, identico come fattura umana, dura, rimane, cresce col tempo.
Questa è la differenza per cui, passando davanti alla stanza dei ragazzi che occupano, l’impeto di quei ragazzi fa soffrire. Perché quell’impeto non dura, non può durare. Ma se invece di fare un gesto politico vetero-marxista facessero gesti religiosi, pregassero col Dalai Lama, sarebbe la stessa cosa. Anche la religione, quando è “vera”, rende soltanto più acuta la domanda di una risposta che non può darsi, che non può neppure immaginare. Tanto è vero che quando, per pura grazia, la risposta è stata data, gli uomini religiosi Lo hanno messo a morte. Voglio dire che quanto più gli anni passano, tanto più gli incontri rendono solo più tristi. Più sono accenni veri, più rendono tristi. Solo un incontro il tempo invece fa crescere, il tempo rende più grande. Come duemila anni fa, quella ragazza, dopo l’annuncio, Lo vedeva crescere prima nel suo grembo e poi farsi grande.
Di tutti i racconti quello che mi ha commosso di più, dopo il racconto su Luigi, è quello su Lucio: “La casa”. Perché quando si è ragazzi un incontro per alcuni giorni o per alcune settimane spalanca, può spalancare, ma poi a trent’anni un incontro che non ha storia aumenta soltanto, se si ha cuore, la disperazione.
“E’ come se quell’ultima smorfia nel sorriso, quell’ultimo lato indeciso delle labbra, quell’ultima resistenza anche chinando il capo …” – anche chinando il capo si può resistere, perché è pura grazia l’abbandono vero ed è una grazia che ha vinto e vince la morte. Una grazia più potente della morte, che vince, purifica e trasfigura anche l’ultimo abbandono rassegnato dell’uomo religioso – “… anche chinando il capo e nascondendo nelle interminabili camminate lì su quel balconcino quell’ultima paura di essere fregato di rimanere deluso …”. La cosa più disperante è il finale di uno dei Dialoghi con Leucò “Il Mistero” quando dice: “Sarà sempre un racconto”.
Questa è l’obiezione più radicale al cristianesimo. Perché, che il cristianesimo sia l’unica prospettiva intelligentemente umana, basta avere cuore per accorgersene, ma che sia realtà e non racconto … (è racconto per tutti se non per coloro per i quali, per grazia, è un incontro e quindi una storia che ha vinto e vince persino quell’ultimo scetticismo: che sia solo un racconto) “… quell’ultima paura di essere fregato, di rimanere deluso, di non trovare nella strada quotidiana l’ampiezza del cuore, siano scivolate via, abbiano fatto spazio per intero alla gratitudine”. “E siate pieni di gratitudine”.
Così che negli anni che passano cresce la gratitudine, perché cresce quell’avvenimento e diventa storia più grande: “… abbiano fatto spazio per intero alla gratitudine e alla pienezza di vita”. Quando Isabella fu uccisa sono andato a casa dei suoi genitori dove c’era Fausto. Alla sera i genitori di Isabella, che sono molto religiosi, vanno a messa tutti i giorni, continuavano a dire: “Isabella non c’è più”.
Poi aggiungevano: “… però è in Paradiso, però c’è il Paradiso”. E questa infondo è la dinamica propria di tutte le grandi religioni.
Ad un certo punto Fausto ha detto: “Non dovete dire che Isabella non c’è più , perché quello che abbiamo incontrato è così vero che neppure la morte lo può distruggere”. Questa è la differenza evidente tra la religione e il cristianesimo.
Perché la fede dell’aldilà è propria di tutte le religioni, invece che un fatto accaduto abbia vinto la morte, questo è solo del cristianesimo. Perché alla Maddalena o ai discepoli, a Giovanni o a Pietro, che c’era l’aldilà, dopo la Sua morte, dopo il Venerdì Santo, non interessava assolutamente nulla. Tutto era crollato con quella morte. E’ solo perché l’hanno visto vivo, mangiando e bevendo con Lui dopo la Sua resurrezione, è solo questa realtà presente che ha vinto per sempre la paura della morte, non la credenza nell’aldilà.
Un’ultima osservazione: una cosa che anche tanti altri cattolici non capiscono: il fatto che essendo determinati solo da un incontro storico (perché molti di noi quando ci hanno incontrato non sapevano neppure l’Ave Maria e non andavano mai in chiesa, e molti che ci incontrano adesso non sanno neppure le norme più elementari della morale cattolica) tale in- contro storico sia aperto alla totalità dell’avvenimento cristiano, sia veramente cattolico.
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