Nelle terre selvagge con Tolstoj

Il viaggiatore estremo

“C’è più abitudine nell’esperienza ad ogni costo (cfr il brutto “viaggiare a ogni costo”) che nella normale rotaia accettata doverosamente e vissuta con trasporto e intelligenza”.

Chissà se sarebbe piaciuta a Cris McCandless, vedi alcuni post precedenti, il viaggiatore estremo, come lui stesso si definiva, questa espressione del Mestiere di vivere di Pavese. Sono le frasi che immediatamente seguono la frase sull’inizio che abbiamo scelto come “portabandiera” di questo blog:

“L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, stupidità -, si vorrebbe morire. E’ per questo che quando una situazione dolorosa si riproduca identica – appaia identica nulla ne vince l’orrore.

Il principio suddetto non è poi da viveur. Perché c’è più abitudine nell’esperienza ad ogni costo (cfr il brutto “viaggiare a ogni costo”) che nella normale rotaia accettata doverosamente e vissuta con trasporto e intelligenza”. Sono convinto che c’è più abitudine nelle avventure che in un matrimonio. Perché il proprio dell’avventura è di serbare una riserva mentale di difesa: per cui non esistono buone avventure. È buona quell’avventura cui ci si abbandona: il matrimonio insomma, magari di quelli fatti in cielo. Chi non sente il perenne ricominciare che vivifica una esistenza normale e coniugata, è in fondo uno sciocco che, quantunque dica, non sente nemmeno un vero ricominciare in ogni avventura”.

Cris, la cui vicenda è ormai diventata un simbolo della giovinezza, del coraggio, ma anche della fragilità e del perdono, grazie al libro e al film, Into the Wilde, ci sarebbe apparso un barbone, con il suo zaino lercio e il sorriso negli occhi. L’avremmo quasi certamente scansato, come quelli che incontriamo nelle nostre città, seduti sul marciapiede a riposare. Paradossi della letteratura che si incastra con la vita, non sempre a pennello.

Comunque sia a ricordarmi la frase di Pavese è il libro di Tolstoj, uno degli ultimi letto da Cris nelle terre selvagge: La felicità coniugale. Probabilmente contiene una stessa parabola contraddittoria, la traccia di un cammino e quella, con altre frasi, in particolare dal Pasternak del Dottor Zivago, del ritorno, della possibile luce della condivisione, della solidarietà.

Del romanzo di Tolstoj, breve quanto significativo, Cris sottolineava certamente l’ansia e l’inquietudine insoddisfatta del viaggiatore (che rischia di diventare però ad ogni costo), come l’equilibrio di altri valori, sedimentati dai rapporti d’amore.

Volevo il movimento, non un’esistenza quieta. Volevo l’emozione, il pericolo, la possibilità di sacrificare qualcosa al mio amore. Avvertivo dentro di me una sovrabbondanza di energia che non trovava sfogo in una vita tranquilla.

Questo è il motto della ragazza protagonista, prima e dopo il matrimonio in cielo, per una bellissima storia d’amore con un uomo molto più maturo e che dopo poche settimane si rivela molto meno avvincente della promessa iniziale, anche per la completa diversità di visione del mondo: lui la campagna, il lavoro, la natura, lei la mondanità della città. (Il resto nel prossimo post).

One Comment

  • Gabriele wrote:

    questa era una delle prime lezioni, mi rimetto in questo momento a rivedere il film per intero, mi ha messo troppa fantasia!!!

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