Con l’augurio di molte farfalle: continua il commento di un detenuto studente di Lettere a Tor Vergata sul romanzo di London Il vagabondo delle stelle.(vedi post precedente)

Esercizi a vuoto, in carcere

figuriamoci cosa significhi per un uomo essere costretto a vivere nella totale immobilità, nella condizione in cui ogni moto è solo origine di dolore.

In momenti come adesso io “evado” dal mio “sempre-uguale” presente scrivendo parole, nell’intento di riuscire ad esprimere quel poco che so e il quasi niente che ricordo di concetti complessi come la libertà, di concetti inafferrabili come la vita.
Io non sono Darrel Standing (il protagonista del Vagabondo delle stelle di London, detenuto nelle carcere di San Quentin), ma conosco il significato insito nella sua storia, io so cosa significa essere materia rinchiusa nella materia, io non ho bisogno di immedesimarmi in lui per comprendere cosa sia l’assoluta mancanza di libertà, io, come lui, sono un detenuto.
Ho trascorso una buona parte della mia vita in carcere, perciò come tanti altri compagni di sventura, so bene cosa significa cercare “un modo” per continuare a vivere nella totale assenza di libertà.
La vita intesa nel suo significato più convenzionale è tutt’altra cosa rispetto a quella che noi siamo costretti a inventarci ogni giorno.
Il carcere è luogo non luogo dove il tempo non è tempo, il carcere è forse l’ambiente più ostile che esista, il più innaturale per l’uomo. Se forme di vita meno complesse dell’uomo, animale razionale, a volte si lasciano morire piuttosto che rinunciare all’istinto di libertà, figuriamoci cosa significhi per un uomo essere costretto a vivere nella totale immobilità, nella condizione in cui ogni moto è solo origine di dolore.
In una simile situazione, l’uomo per sopravvivere o diventa insensibile, “materia pura” o per il contrario rinuncia alla propria “corporalità”, ormai, incapace di espletare le sue “funzioni primarie”.
“Vivere” chiusi in una cella di due metri per quattro per ventuno ore al giorno, poter abbracciare, baciare i propri amati durante solo quattro ore al mese, sapere che questo è il destino che ti aspetta per i prossimi venti, trenta anni, e in alcuni casi estremi per sempre, questo sinteticamente è il carcere.
Non è mia intenzione in questa sede inoltrare un critica alla realtà penitenziaria del nostro Paese, mi limito a trasmettere qualche verità, sicuramente di parte, ma sorprendentemente simile a quelle che intende trasmetterci J.London attraverso la sua opera.

Continua al prossimo post…..

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