In libreria per la Studium di Roma, una nuova edizione del Cimitero cinese di Mario Pomilio (pubblicato per la prima volta nel
1958, in rivista), con l’inedito I partigiani, a cura di Federico Francucci. Ecco qualche brano di Pomilio che spiega la genesi del racconto, in cui due ragazzi, una tedesca e un italiano, dopo la seconda guerra mondiale, attraversano i luoghi delle battaglie e le ostilità verso i rispettivi popoli.

Ogni guerra è una guerra civile. I viaggi di Pomilio nelle memorie della guerra: l’orrore dei cadaveri insepolti e la difficile “pronunzia di una parola di riconciliazione”.

copertina Pomilio (1)
Io lo concepii per la prima volta idealmente nel 1951 quando, trovandomi in Belgio, feci un viaggio attraverso le coste settentrionali di quel Paese e della Francia, lungo le spiagge bagnate dalla Manica, nei luoghi delle grandi battaglie della Seconda Guerra Mondiale.

Quel viaggio mi restò impresso nella memoria in maniera decisiva, tant’è vero che il racconto, pur trasformando certe cose, pur aggiungendo qualcosa che in realtà non esiste (come l’episodio del capanno nella radura e della vecchia che a un certo punto vi compare), ne ripercorre fedelmente le tappe.

Quel cimitero esiste davvero, anche se non ho incontrato il vecchio cinese che faceva il giardiniere. Però doveva esserci qualcuno, tanto il cimitero era in ordine e ben tenuto. Ricordo il momento in cui più nitidamente mi venne incontro l’idea di questo racconto: fu quando, dopo aver oltrepassato un luogo di villeggiatura molto alla moda, Paris-Plage, mi trovai di fronte ad una spiaggia di quelle tipiche del Nord, vastissime e tutta piena delle fortificazioni del famoso Vallo Atlantico, bunker elevati dai tedeschi a difesa di quelle coste. Davanti a questi bunker spettrali, quasi immodificabili nella loro sostanza di cemento scuro, grigiastro, intravidi come un personaggio femminile che poi sarebbe diventato la Inge del racconto. Mi dissi: come sarebbe bello poter ambientare qui una storia d’amore, l’incontro tra una giovane tedesca ed un giovane italiano.

Il rancore nazionalistico per i soprusi commessi dall’esercito tedesco in Italia era ancora vivissimo. La mia idea del racconto, invece, prevedeva la pronunzia di una parola di riconciliazione. Evidentemente allora non ero maturo letterariamente e spiritualmente per pronunciare quella parola, cioè per fare delle cancellazioni delle memorie dolorose il tema, il filo conduttore del racconto. E così il racconto è rimasto nell’aria, quasi fissato nei suoi contorni ma non scritto.

C’è un racconto che avevo scritto quando ero giovanissimo, nel 1945, anch’esso proiettato nelle memorie di guerra. Aveva un titolo molto sommario, I partigiani, e non l’ho mai stampato. Il tema di quel racconto, però, era collegato a quello che poi fu Il cimitero cinese.

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