Vedi il post del 27 febbraio tutti quelli, da tre anni, dedicati a don Giacomo, il 19 di ogni mese.

La persona rinasce in un incontro

Ho appreso della morte di don Giacomo Tantardini, (19 aprile 2012, manca un mese al terzo anniversario) alla mostra Pasolini a Casa Testori.

Ero davanti al pannello con le bellissime parole di Giovanni Testori sulla morte di PPP (quarant’anni fa), mentre scorreva il video della sua ultima intervista sulle dune di Sabaudia, dove con forza (e anche disperata dolcezza) Pasolini riassumeva la sua idea di genocidio delle culture della diversità, nella grande omologazione consumistica, una forma di potere più capillare e violenta di quella nazista. Quella che chiamava lui stesso la litania degli ultimi anni, descriveva questo genocidio soprattutto nei giovani. A cominciare dai volti: grigi, meschini, sempre bassi, senza luce, incapaci di un linguaggio originale ,( balbettano appena, non sanno più parlare), descrivendone, innanzitutto l’infelicità, l’incapacità di desiderare qualcosa all’infuori dei modelli consumistici, uguali per tutti, dal pariolino al sottoproletario.
Parlava della mia generazione. Magari con qualche anno di più, come Gianni Dessì, come Rocco Auciello.
Da sempre la modalità dell’incontro, specie con i giovani, per Pasolini e Testori era il centro di una pedagogia: in qualche modo anche teorizzata da Pasolini (Le lettere a Gennariello in Lettere luterane), spontanea e naturale in Testori.
La persona rinasce solo in un incontro (vedi post del 27 febbraio). Non so quanto Pasolini avesse visto giusto in quella sua apocalittica visione: sicuramente, per ogni epoca, le sue parole sono di monito, tornano al cuore della vicenda umana: il desiderio, la felicità, una antropologia capace di mettersi al servizio degli emarginati.
Nella generazione che descrive, quella nata nella seconda metà degli anni Cinquanta e poi trasmessa ai più piccoli, un incontro nuovo accade. Proprio dentro le aule universitarie. Don Giacomo ha indicato un luogo e un tempo preciso, un seminario a Lettere e Filosofia, nel 1978. Il germe che fiorisce, nato negli ultimi anni di Pasolini. Di questo, fino alla scomparsa, 25 marzo 2014, si nutre la poesia di Rocco Auciello, anche in quella ricostruzione lucida, un poemetto in prosa, Memorie di un ‘900, alla fine di La poesia sarà nelle strade, proprio negli anni della Roma di Pasolini, dal famoso episodio di Valle Giulia, fino a quell’incontro.
E’ commovente allora leggere queste parole di Gianni Dessì (il promotore di quel seminario a Lettere e Filosofia di cui sempre ha fatto riferimento don Giacomo, raccontato in una pagina di Occhi, occhiali e Paradiso in cui vi scorgeva quel nuovo inizio) che descrivono, parlando della poesia di Rocco, quell’incontro:

Queste poche osservazioni sulle poesie di Rocco Auciello hanno un’origine, una ragione che vorrei dire subito.
Da qualche anno insegno storia del pensiero politico, ma già molti anni fa , quando come matricola nella facoltà di Lettere dell’Università La Sapienza, ho conosciuto Rocco i miei interessi erano più di carattere filosofico e politico che poetico . D’altra parte quando fu pubblicata la raccolta di poesie Angelo, nel 1995, Rocco mi invitò a dire qualcosa in una delle presentazioni del suo libro.
Di fronte all’invito di Fabio Pierangeli a partecipare a questo numero della sua rivista, la prima questione che mi sono posto è a quale titolo avrei potuto intervenire in un contesto che dal punto di vista della competenza e del percorso di studio certamente non è il mio.
Mi è immediatamente venuta alla mente la presentazione del 1995, perché anche in quella occasione mi ero rivolto la stessa domanda.
Credo che allora Rocco mi avesse invitato molto semplicemente per amicizia. Un’ amicizia alla quale tenevamo entrambi, alla quale mi riferisco ancora oggi, che aveva due precise caratteristiche. La prima, nel senso più ampio possibile, era una comune curiosità, un’apertura nei confronti della realtà in tutte le sue forme, dalle diverse esistenze di persone che potevamo avere conosciuto alle questioni politiche e sociali. La seconda era un’attrattiva che entrambi vivevamo nei confronti di alcune persone cristiane che avevamo incontrato e la voglia di prendere sul serio la prospettiva di esistenza che queste comunicavano. Una curiosità per la vita, nelle sue più diverse espressioni; un’ipotesi di esistenza affascinante e positiva nella quale ci eravamo imbattuti: queste erano le caratteristiche che rendevamo per me preziosa l’amicizia con Rocco, tra l’altro fuori da ogni schema e da ogni forma di meccanicità.
A partire da questi semplici fatti lessi le sue poesie molti anni fa; a partire da essi sono tornato a leggerle in questi giorni.
La curiosità di Rocco si muove per una percezione positiva della realtà: questo è un elemento presente in molte poesie e in modo più esplicito nella parte finale del volume La poesia sarà nelle strade, Memorie di un “900” . Proprio questo elemento, una curiosità mossa da una percezione positiva della realtà, a me fa pensare ad un altro possibile titolo, Memorie di un altro “900”. La descrizione della generazione che rifiutava la “roba” verghiana, che credeva che la ribellione fosse un dovere, quella dei “Vent’anni per sempre, vivi o morti” era quella di Rocco, qualche anno più grande di me. Quella generazione, come viene raccontato, è stata anche quella dell’arrivo dell’eroina, delle ideologie che chiudevano alla realtà, della violenza: nei libri di Rocco, nella sua esistenza come per miracolo, è restata viva l’apertura, la positività, la rottura degli schemi. Leggendo le poesie ho avuto l’impressione che egli abbia mantenuto quell’elemento di novità, di intelligenza, di ricerca di autenticità che ha segnato la sua generazione evitando le chiusure, la violenza che per molti è prevalsa. Anzi, come se le poesie più recenti riaffermassero con forza maggiore questa apertura e questa curiosità positiva. Come scrive nella lirica 166 de La poesia sarà nelle strade
“Più il bagaglio è piccolo e essenziale, più lo sguardo è libero
e leggero, non preoccupato di sé della ‘tua’ roba, dei tuoi
pensieri. Si gusta per l’intero universo, aperti a tutto,alle
variazioni, al nuovo. Perché dietro l’angolo tutto si dipana
verso l’infinito, ogni particolare è denso di verità. Non c’è
bisogno di macchine fotografiche , cineprese ingombranti.
Basta un po’ di memoria a custodire, ad ampliare. Poco
chiasso, il silenzio è il migliore amico. Ogni cosa così cambia.
E se e quando si ritorna, è una nuova festa del vivere!”

( tratto da Una curiosità mossa da una percezione positiva della realtà
di Gianni Dessì (docente di Storia del Pensiero Politico, Università di Roma-Tor Vergata), «Mosaico italiano», Marzo 2015).

One Comment

  • Tra San Patrizio e San Giuseppe inevitabile pensare a te e al tuo sito e alla santità di amici comuni. Grazie ele

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