“il porto è la furia del mare”

Figli del mare ( e dei fiordi di Ibsen)

“Dalla pace del mare lontano /dalle verdi trasparenze dell’onde/ dalle lucenti grotte profonde/ Dal silenzio senza richiami. / Itti e Senia dal regno del mare / sul suolo tristo sotto il sole avaro si risvegliaro / dei mortali a vivere la morte”.

Questo l’incipit dei Figli del mare di Carlo Michelstaedter che, alla presenza reale delle acque della costa istriana unisce gli echi letterari del mare della Norvegia delle opere di Ibsen (un grande persuaso nel pensiero del goriziano), in particolare La donna del mare. Itti (chiaramente figura cristica e autobiografica insieme) e Senia (la Straniera, nella realtà l’amica Argìa), sono i principi del mare, costretti al “vano terrore della morte” a camminare “ricurvi nella terra”. La loro aspirazione è tornare al loro paradiso, l'”altro” mare, ma Senia ha paura della tempesta, mentre le campane del focolare domestico richiamano all’ordine, alla rassegnazione, ad accettare la sorte delle dolci e care cose. Itti la incita al viaggio, al dono luminoso:

Altra voce dal profondo

ho sentito risonare

altra luce e più giocondo

ho veduto un altro mare.

Vedo il mar senza confini

senza sponde faticate

verso l’onde illuminate

che carena non varcò.

Vedo il sole che non cala

lento e stanco a sera in mare

ma la luce sfolgorar

vedo sopra il vasto mar.

Senia, il porto non è la terra

dove a ogni brivido del mare

corre pavido a riparare

la stanca vita il pescator.

Senia, il porto è la furia del mare,

è la furia del nembo più forte,

quando libera ride la morte,

 a chi libero la sfidò…

Se t’affidi senza timore

ben più forte saprò navigare,

se non copri la faccia al dolore

giungeremo al nostro mare.

Senia, il porto è la furia del mare,

è la furia del nembo più forte,

quando libera ride la morte,

 a chi libero la sfidò…

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